LETTURE: GLI ‘INTERNI MODERNI’ DI PENNY SPARKE

La casa è una manifestazione di sé, che lo si voglia o meno
[E. de Wolfe]

Ci sembra convincente, sebbene non convenzionale sul piano storiografico, e di gradevole lettura, il libro di P. Sparke.

L’autrice cita un passo di Walter Benjamin in cui si legge che è  “Sotto Luigi Filippo che fa il suo ingresso sulla scena storica il privato cittadino, [il cui] spazio vitale entra per la prima volta in contrasto con il luogo di lavoro. (…) Lo spazio vitale del privato cittadino si costituisce nell’intérieur”.

Rintraccia così un file rouge grazie al quale vede il progressivo livellamento di procedure e soluzioni progettuali – dal1850 a oggi – sul carattere degli spazi pubblici e di quelli privati. Spazi cioè tendenti alla in-differenza estetica.

Così nel testo si ripercorrono gli arredamenti dell’antesignana di tutti gli interior designer, la pioniera Elsie de Wolfe; gli interni della Gesamtkunstwerk (ovvero l’opera d’arte totale, che fuse architettura e arredamento in un unico oggetto a quattro dimensioni, della quale i viennesi degli anni ’10 e ’20 – Hoffmann, Olbrich, Wagner, Peche, Moser  -  furono maestri); poi l’ondata moralizzatrice del Razionalismo – con Adolf Loos[1] precursore di quella ‘pulizia’ antidecorativa che cercava di liberarsi degli orpelli a favore dei “nomi” delle cose[2]; sino agli interni ‘standardizzati’ della produzione di massa, e ai cosiddetti interni minimali, quale punta dell’iceberg degli interni come feticcio – oggetto di consumo, fondato sul paradosso che ‘meno si ha e più si sa’….

Attraverso questo iter storico-analitico, emerge una lettura singolare ma efficace per individuare ciò che oggi sta accadendo nel mondo dell’interior design. Lettura che aiuta a puntare gli occhi sulla promiscuità estetica dilagante che tende ad eliminare qualsiasi categoria critica (di bello o brutto) a favore del “tutto è possibile”. Emerge cioè la totale assenza della componente progettuale nel dare forma ad un interno, essendo oramai risolto tutto con gli “indirizzi” di un mercato sempre più onnivoro e tendente a rendere standard anche le menti.

Riportiamo un passo che , a ns. avviso, è sintesi di ciò.

“Soprattutto nella sua forma idealizzata e desiderata, la casa è ancora il luogo in cui in gran parte si forma l’identità personale e la destinazione della maggior parte dei prodotti di consumo, dalle nuove tecnologie ai mobili e agli arredi. Non soltanto i prodotti che si trovano negli interni a essere consumati, però. Gli interni stessi […] sono diventati a loro volta oggetti di consumo. Man mano che l’idea di <<stile di vita>> diventava l’obiettivo da raggiungere all’interno della cultura del consumo, il ruolo del branding ha assunto sempre maggiore importanza e gli interni sono stati integrati nelle strategie di marketing e di mercato.”

e, ancora, per concludere:
“…gli interni sono diventati non tanto un’estensione dell’architettura quanto del design grafico, della pubblicità e del branding.”

Con buona pace della manifestazione del sé.

(pier giuseppe fedele)

 

[1] L’autrice individua, negli interni loosiani l’ultima scena di quel carattere di domesticità degli interni privati, che si perse del tutto col Razionalismo più maturo. E’ una riflessione su cui concordiamo appieno, e che andrebbe approfondita. (cfr. il bellissimo saggio “I bottoni di Lou” di M. Cacciari su questo argomento, in “Dallo Stheinof”).

[2] E’ molto bella l’analisi della cucina razionale che, dal seme-progetto dell’americana Christine Frederick del 1915, giunse nel 1927, alla definizione del modello detto ‘cucina di Francoforte’ di M. Schütte-Lihotzky, ovvero alla moderna idea di cucina.