INTERIOR: INTORNO A UNA SCALA SOSPESA.

 

Ci siamo seduti.

Anzi per dirla francamente, si sono seduti perché noi non taceremo mai.

Seduti ci parrebbe di essere all’Accademia,

e siamo invece nella vita, nella polemica,

che significa parlar forte, muoversi, provvedere.

[ E. Persico, 1934]

 

 

 

Un interior è sempre un lavoro intorno a ciò che gli spazi e le cose evocano.

Mira sempre a descrivere cioè una dimensione Altra, partendo dalle esigenze funzionali.

Un luogo possiede in nuce sempre una dotazione di senso, che muove il progetto stesso – come un motore silenzioso e segreto, ma che lascia una parte di quella inesprimibile, a causa della impossibilità del linguaggio di manifestare ogni cosa.

Gli interni possiedono una sorta di inconscio che ci parla, che evoca delle storie future.

In questo interno, la posizione originaria della scala esistente che conduce al piano notte – dopo  le demolizioni del precedente assetto planimetrico – ha determinato il carattere fondante del progetto: un grande spazio living intorno ad essa, così da differenziare il carattere aperto della zona living da quello più chiuso e privato del piano notte, al piano superiore.

Il grande spazio del quotidiano gira intorno alla scala, che è quindi centrale.

Da un lato c’è la zona operativa della cucina-pranzo; dall’altro, in perfetta e fluida continuità spaziale, la zona dove gli arredi dello ‘stare’ descrivono, con la loro presenza, le varie destinazioni-funzioni (il tavolo per le cene delle feste importanti, il divano per il relax di tutta la famiglia, intorno al camino).

Si accede allo spazio living attraverso un ingresso delimitato da vetri color bronzo.

Ingresso traslucido, delimitato dalla sofisticata luce dei vetri bronzati, col suo pavimento a rombi rosso e celeste Cina, che tende ad alludere ad un Oriente antichissimo in cui la modernità non è mai rottura netta, ma sempre continuità di una tradizione viva.

Ma è la scala l’occasione per riflettere su una costante della cultura architettonica italiana.

Ci si riferisce qui alla dimensione poetica di certa architettura Razionalista Italiana degli anni 30, una sorta di Realismo magico. In particolare, al Razionalismo poetico di Edoardo Persico e, in perfetta continuità, a quello di Franco Albini.

Entrambi profondi conoscitori della Cultura Italiana, alle prese con la declinazione di un Moderno tutto italiano. Entrambi alle prese con le ‘novità nostre’, come scriveva Persico nel 1935; senza mai sviare in un regionalismo provinciale, come accadde successivamente con la ‘monumentale’ deriva retorica delle architetture degli anni a seguire.

Molti loro progetti, soprattutto quelli per le esposizioni e mostre temporanee, quelle architetture  filiformi (non immemori di alcune timide esperienze del Razionalismo tedesco per gli stessi temi), hanno la forza di arrivare sino a noi, e di contraddire la temporaneità di quegli interventi, per divenire Idee permanenti, in perfetta continuità con la Storia. Eppure così rivoluzionarie.

Si può rintracciare, in quel modo di fare architettura, una sorta di volontà surrealista: si pensi alla battaglia intrapresa con le leggi della statica in quelle opere dove la pelle è sparita per mostrare solo le ossa: quelle rareformi linee che manifestano l’equilibrio delle forse e che fanno vibrare l’aria, la dissezionano, recuperando una finitezza paradossale perché leggerissima, che risulta essere ‘magica’ per quanto sia vicina all’astrazione, pur essendo energica materia. Surrealismo come super -realtà, e non come esito figurativo.

E’ unacapacità, tutta italiana appunto, di trascendere la materia dell’architettura, con la mira di rintracciare ciò che c’è dietro di essa, seppur partendo dalla materia come immanente all’Architettura.

E’ questa la costante di cui facevo cenno sopra.

La battaglia con il Reale, in vista di rin-tracciare i segni di quel residuo che il linguaggio non riesce a rappresentare è verificabile anche in altre vie linguistiche. Una invariante che si ri-presenta in altri autori, lungo la storia dell’architettura.

Per Persico ed Albini si potrebbe obiettare che è il tema delle architetture temporanee (mostre, negozi ed esposizioni) ad aver facilitato lo sviluppo di quella soluzione formale. La presenza di una maggiore libertà da vincoli funzionali legati all’abitare domestico lascerebbe intuire una libertà di pensare la cosa senza quel ‘sub-specie aeternitas’ che è la Necessità prima dell’Architettura ‘permanente’.

Ma allora, sempre per rimanere nel Moderno, a cosa allude la ricerca architettonica di Aldo Rossi, altro grande ‘Italiano’, con quel suo rimaneggiamento di forme storiche, che è superamento della questione linguistica in vista della messa a fuoco del senso del tema architettonico, quindi della vera Realtà dell’oggetto architettonico? Siamo indubbiamente su tutt’altre mire compositive, non v’è dubbio. Ma anche per Rossi si è parlato di surrealismo[1]. Un su-realismo preciserei, che si solleva dalle codificazioni linguistiche di ‘scuola’ (i divieti linguistici che finiscono per oscurare il senso…), per mirare alla dimensione ‘eccedente’ della cosa architettonica.

Di questo passo, e assumendo a tema questo taglio critico, si potrebbe risalire al Rinascimento Italiano, o ancora più indietro[2].

Perché l’architettura italiana si muove sempre – per dirla con G. Pagano – su una sorta di ‘incrocio inquietante’, di strade provenienti dal passato e immesse nel futuro. Una sorta di lucidità delle contraddizioni: antico-moderno[3] che genera forme-sintesi, mirando a ciò che eccede il Logos, al superamento dell’immanenza della materia stessa, a favore dell’immanenza dell’Idea.

Questo della compresenza di antico e moderno è consapevolezza che il linguaggio (Lògos) – per superarlo – non può non rivolgersi alla sua ‘provenienza-origine’; è cioè sempre una (nuova) messa in forma di ciò che quella forma era.  Ciò che <era>, la sua origine o, meglio, la sua Natura (phisys) è l’unico riferimento alla ecceità della cosa, al residuo che il logos stesso non può manifestare. E l’unico modo per superare la contingenza.

 

In quel residuo, in quell’eccedenza, risiede il senso della cosa.

E’ quella la sua Realtà, è in quell’Oltre la sua natura.

E’ quella la Necessità di cui si nutre il pensiero architettonico. Oltre ogni ingenuo funzionalismo.

E, oggi più che mai, è una vera e propria forma di Resistenza all’omologazione conformista imposta dalla dittatura della Tecnica.

[pier giuseppe fedele_Diritti Riservati]

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[1] L’espressione è proposta – per l’architettura di Aldo Rossi, da Carlos Martì Arìs in: ”La centina e l’arco”, Marinotti 2007

[2] Sarebbe interessante approfondire questo tema, partendo dalla architettura romana.

[3] Argan su Terragni.

 

PROGETTO: Arch. Pier Giuseppe Fedele
TIPOLOGIA: Ristrutturazione
DIMENSIONI: mq 200

CATEGORIE: Design, Home, Offices